16 ottobre 2025
Tregua fragile, Europa e Italia adesso battano un colpo
Vi propongo l'intervista di oggi rilasciata a Umberto De Giovannangeli del quotidiano "l'Unità"
"Tregua fragile, Europa e Italia adesso battano un colpo"
"Dopo due anni finalmente uno spiraglio. Ma non bisogna cedere al trionfalismo. La situazione in Cisgiordania e il ruolo dell’Anp sono nodi da non sottovalutare. Male che tra i prigionieri liberati non ci sia Barghouti"
Marina Sereni, responsabile salute e sanità nella Segreteria nazionale del Partito Democratico, già Viceministra degli Esteri. Partiamo dal trionfo di Trump in Israele ed Egitto. E' vera pace ?
Il vedere gli ostaggi israeliani riabbracciare finalmente i loro cari, migliaia e migliaia di Palestinesi sorridere e festeggiare, seppure in mezzo a cumuli di macerie, apre certamente uno spiraglio di speranza dopo oltre due anni di morte, violenza, disperazione. Da mesi chiedevamo il cessate il fuoco nella Striscia e ora non possiamo che augurarci che la tregua regga. Sapendo che sul terreno ci sono ancora enormi problemi da risolvere, a partire dall'arrivo di aiuti sufficienti a sostenre una popolazione civile stremata da anni e bombardamenti, mancanza di acqua pulita, cibo, ospedali, scuole, rifugi sicuri. Inoltre, siamo solo alla prima fase, perchè l'accordo promosso da trump insiemeai leader arabi e musulmani è molto più complesso e ambizioso e ha molti aspetti da chiarire. Dal punto di vista politico e diplomatico la situazione è ancora estremamente fragile. Per questo penso sia importante non abbandonarsi a facili trionfalismi e domandarsi invece cosa si può fare per costruire una pace vera. Vedo, oltre alla situazione a gaza, due punti da non sottovalutare...Quali?
Il primo è la situazione in Cisgiordania, dove l’azione dei coloni violenti è sempre più la normalità e dove le condizioni di vita dei palestinesi peggiorano di giorno in giorno. La seconda questione riguarda il ruolo dell’ANP e le sue possibilità di riformarsi e riconquistare legittimità e credibilità agli occhi del popolo palestinese. Non è una buona notizia che tra i prigionieri politici palestinesi liberati non ci sia Marwan Barghouti, una figura di combattente che oggi potrebbe riunificare politicamente le diverse fazioni palestinesi e diventare la leadership necessaria per avviare un nuovo processo di dialogo e di pace. Ecco, sono convinta che la mobilitazione per la pace in Medio Oriente – che ci sarà solo se si darà una risposta alle legittime aspettative del popolo palestinese di avere un Stato autonomo e indipendente a fianco dello Stato di Israele – debba continuare, e credo che ora l’Europa e l’Italia debbano finalmente far sentire la propria voce.
L’Europa degli Stati non è esistita in questo accordo. Mentre a pesare è stata l’Europa delle grandi mobilitazioni popolari, in particolare in Italia. Lo ha riconosciuto lo stesso Trump quando rivolto a Netanyahu ha detto: “Israele non può fare guerra al mondo, Bibi”.
Sul Medio Oriente sono venuti al pettine i nodi di un’Europa divisa e perciò debole e ininfluente. Mentre sull’Ucraina l’UE è stata in grado di contenere le differenze al proprio interno e di approvare sanzioni nei confronti della Russia, non è riuscita a fare altrettanto nei confronti di Israele, che si è macchiata di tremendi crimini di guerra contro i civili, andando ben oltre la legittima reazione all’attacco terroristico del 7 ottobre. In assenza di un’azione comune a livello di UE, tuttavia, molti Stati europei – non l’Italia – hanno assunto iniziative importanti, a cominciare dal riconoscimento dello Stato di Palestina. Sappiamo che il governo Netanyahu non è favorevole alla prospettiva di “Due popoli, due Stati”, ma questa è l’unica strada che potrà garantire sicurezza ad Israele. Per questo non possiamo accontentarci della firma di ieri, dobbiamo continuare a lavorare per raccogliere quella grande spinta che è venuta dalla società civile, da tutti coloro che sono scesi in piazza in questi mesi per chiedere di fermare il massacro dei civili a Gaza.
Per essere stata parte di quel movimento, Elly Schlein è stata accusata di essere una vetero pacifista, una sinistrorsa. È così?Sono critiche lunari, assurde. Dove altro dovrebbe essere la Segretaria nazionale di un partito progressista, democratico e di centrosinistra, mentre nel mondo si combattono oltre cinquanta guerre e mentre in dispregio del diritto internazionale e dei diritti umani tornano prepotenti i nazionalismi, le spinte imperialiste, la legge del più forte? Domenica scorsa abbiamo marciato insieme nello storico tragitto tra Perugia e Assisi. Centinaia di migliaia di persone di tutte le età si sono unite in nome di valori comuni, solidarietà, umanità, giustizia, non violenza. Eravamo a casa, al nostro posto, i sorrisi e le parole delle persone che salutavano Elly lungo il cammino lo confermano. La politica ha il dovere di ascoltare quel popolo e tradurre le domande e le ansie che lo animano in azione, proposta. È quello che abbiamo cercato di fare in questi mesi e che continueremo a fare nel Parlamento italiano, nelle istituzioni europee, nei territori.
In Toscana è stata una vittoria piena, con il PD molto sopra il 30%. Dopo le Marche e la Calabria abbiamo letto titoli che parlavano di umiliazione, di disfatta per Schlein e il Campo largo. Nessuno però ha sparato sentenze contro Meloni e la Destra quando il centrosinistra ha “conquistato” Genova e l’Umbria, né dopo il voto di domenica scorsa. Due pesi e due misure?
A leggere i giornali dopo la vittoria in Toscana sembra che qualche commentatore non voglia riconoscere nemmeno in questo caso un merito al PD e alla leadership di Elly Schlein. Ma sono tutte polemiche che lasciano il tempo che trovano. Le elezioni regionali per quanto riguarda il PD hanno visto ovunque un lavoro condiviso tra gli organismi dirigenti nazionali e quelli dei territori interessati. Abbiamo creato le condizioni per un’alleanza ampia e inclusiva, fatta di forze politiche e di mondi civici, partendo sempre dai programmi e dalle scelte da compiere per il governo di quelle comunità: sanità, welfare, trasporti, imprese, ambiente, diritto allo studio. La collaborazione all’interno della coalizione nei territori aiuterà anche il lavoro che ci aspetta verso le prossime elezioni politiche.
Programmi e alleanze dovrebbero essere tutt’uno. Invece?
Invece deve essere così. Penso che, dopo questa tornata elettorale per le Regioni, la priorità per il PD e per la coalizione sia proprio quella di concentrarsi sul progetto per l’Italia, sulle proposte, sulle idee. In questi giorni il Governo Meloni si appresta a varare la terza manovra finanziaria. Le linee sin qui indicate sono del tutto inadeguate rispetto al quadro della situazione economica e sociale. L’Istat ha aggiornato da poco i dati sulla povertà: 5,9 milioni di persone vivono condizioni di povertà assoluta, soffrono anche il ceto medio e medio basso per la perdita del potere d’acquisto dei salari. Se a questo aggiungiamo la produzione industriale ferma da oltre 30 mesi e i dazi di Trump direi che, come opposizione, abbiamo abbastanza materiale su cui lavorare. Vedo tre grandi capitoli su cui insistere con le nostre proposte: la domanda interna, cioè il potere d’acquisto di salari e pensioni, il recupero del fiscal drag, il salario minimo; le misure per la crescita, cioè le politiche industriali per accompagnare le transizioni ecologica e digitale, il costo dell’energia; i servizi pubblici e i beni essenziali, cioè la sanità pubblica, l’istruzione pubblica, i trasporti, la casa.
Siamo alla vigilia della manovra finanziaria e la crisi della sanità pubblica non si allevia. Lei che nella Segreteria nazionale del PD è responsabile Salute, come la vede?
I dati del Rapporto Gimbe 2025 sono eloquenti e non opinabili, come vorrebbero alcuni. Ci parlano di una crisi seria e profonda del SSN che rischia di diventare irreversibile se non si interviene. Quattro sono per noi i punti prioritari. Al primo posto le risorse. Con il Governo Meloni – dopo lo sforzo straordinario compiuto con il Ministro Speranza nella fase della pandemia – siamo precipitati di nuovo nella politica dei tagli. I 2.5 mld aggiuntivi annunciati dal Governo sono del tutto insufficienti per fare ciò che serve: portare il finanziamento pubblico alla sanità almeno intorno al 7% del Pil, media europea e OCSE. Non accettiamo come risposta la scarsità delle risorse disponibili. È la politica che sceglie le priorità, la sanità non è meno importante del comparto difesa. Noi faremo anche quest’anno le nostre proposte, anche attraverso il coinvolgimento delle Regioni. Il secondo tema cruciale riguarda il personale: chiediamo rinnovi contrattuali e retribuzioni degne, un piano straordinario per le assunzioni, un impegno per valorizzare tutte le professioni sanitarie e sociosanitarie. Il terzo nodo: la bussola per il futuro SSN deve essere la medicina di prossimità, seguendo la rotta tracciata dal PNRR, di cui non possiamo perdere nemmeno 1 €, e dal Decreto 77. Non basta un’attuazione burocratica, serve una piccola grande rivoluzione che metta al centro i territori, la partecipazione della comunità, la prevenzione, l’integrazione tra professionalità diverse e tra sociale e sanitario. Infine: i divari territoriali producono intollerabili disuguaglianze. Apriamo una riflessione complessiva su come rendere più efficace il rapporto Governo/Regioni, ma intanto fermiamo l’autonomia differenziata in sanità. L’esigibilità di un diritto fondamentale non può dipendere dal luogo di residenza.